Quantcast
Channel: Fuori dagli schermi – Scuola di scrittura Omero, dal 1988 la prima scuola di scrittura creativa in Italia
Viewing all articles
Browse latest Browse all 13

Una giornata diversa. Anzi due

$
0
0

La fila al Salone del Libro di Torino era mostruosa. Un serpentone largo e ondulante di cui non si vedeva la fine e, peggio, nemmeno l’inizio.

Allora, facciamo così, tu mi aspetti qui e io vado a vedere da che parte possiamo entrare, dico a Giangiacomo, detto JJ.

Mi avvicino ad uno dei ragazzi in divisa che tentano di rispondere alle domande di tutti quelli che non sanno dove mettersi pur di evitare il serpentone. Giornalisti, scrittori, ospiti alla conferenza che inizia tra poco, ospiti a quella che inizia alle 2, professoresse con classe al seguito, segretarie di produzione, over 65, e under 65 col passeggino e bambini a piedi già sull’orlo di piantarsi lì e non schiodare più. Non mi piace sgomitare, ma se non mi do una mossa mi girano intorno e mi passano tutti avanti. Prima che il giovanotto soccomba devo chiedergli che fare con il mio amico disabile che aspetta laggiù.

Quello con le stampelle, lo vede?

Certo.

E in un attimo si volatilizzano giornalisti, intere scolaresche, passeggini e tutto il resto.

Andate dritti di là.

E indica la direzione dell’ingresso parallela al serpentone oscillante ma fuori da esso.

Ma c’è la sbarra.

Non si preoccupi, c’è lì il mio collega che vi apre.

Trionfante torno da JJ.

Benvenuta nel mondo diverso. Vedrai che esperienze che ti aspettano!

Ci incamminiamo a passo lento, arriviamo, e ci fermiamo davanti alla sbarra. Che in quanto tale è chiusa.

Scusi, il suo collega, sì quello lì, ci ha detto di passare di qua.

Il tipo ci guarda come se aspettasse una soluzione da noi. A quanto pare non c’è un percorso preferenziale definito, è come se andasse inventato al momento, però, in un modo o nell’altro, ci fanno passare, e arriviamo ai controlli.

Di nuovo, vado a chiedere dove possiamo passare. E’ un po’ seccante chiedere di andare avanti, cioè dovrebbe essere scontato e non affidato al buon cuore altrui. Per carità, il buon cuore è una nobile cosa, ma se uno ci ha i problemi suoi e non si sente buono per niente e non ti fa passare avanti perché tu poverino c’hai le stampelle e lui è comunque più fortunato e invece in quel momento si deve tenere per non tirartela in testa la stampella, be’ mica sarà per forza stronzo, no? Cioè non è bello usare i buoni sentimenti per camuffare le barriere architettoniche.

Comunque, ci indicano di passare a fianco della fila. Non è che andiamo molto più veloci, però almeno ne siamo fuori. Solo che il vigilante che fa i controlli sta dall’altro lato. Qui non c’è nessuno.

Scusi, ci controlla lei?

Mi sembra doveroso chiederlo.

Per un attimo ci guarda smarrito, però è evidente che non ha senso averci fatto passare avanti per poi bloccarci di fronte al nastro a raggi X. Il tizio fa un cenno e io faccio passare la mia borsa davanti a quella della signora in fila dall’altra parte, abbozzo un mezzo sorriso di scuse mentre lei mi fulmina, poi faccio lo stesso col borsello di JJ. Richiudo borsa e borsello, vado avanti pochi passi e il vigilante mi controlla col metal detector. Alzo le mani, aspetto che abbia finito, non suono e faccio altri due passi. Mentre a JJ fa segno di andare avanti, e un gesto, come dire, ok, tranquillo. Tranquillo? Chi, lui o tutta questa gente accalcata qua? Cioè, magari il mio amico è un pericoloso kamikaze e questa specie di mandria procede inconsapevole verso un atroce destino, solo perché a lui non lo guarda nessuno? Razzismo vero. Accidenti, pure con le stampelle uno può essere un figlio di puttana! Prenderne atto, questo sarebbe politically correct.

JJ si ferma, io guardo il vigilante e aspetto, lui allontana l’attrezzo dal signore che già stava pronto con le braccia alzate, lo mantiene per un istante sospeso per aria, si gira verso JJ e gli chiede:

Vuole che lo faccio pure a lei?

Non so quanto ciò a JJ piaccia, ma in teoria anche se non gli piacesse per niente glielo dovrebbe fare lo stesso. Comunque glielo fa. Molto rapidamente, una passata e via, giusto per non fare ingiustizie.

Ti è piaciuto?

E’ durato talmente poco…

In effetti…

E scoppiamo a ridere tutti e due.

Arriviamo finalmente alla fila dei biglietti. Lui l’ha acquistato online, ha la ricevuta sul telefono e l’ha pure stampata.

Per il biglietto di là.

No scusi, questo non vale?

Indica una fila laggiù, al passo di JJ significa almeno un quarto d’ora.

Ovvio che non ha senso.

Il tipo ci guarda e fa una faccia come se la fila lontana fosse uno scherzo di dubbio gusto. Di cui non ha colpa. Alla fine, il foglio A4 stampato è il nostro pass per il salone. Gli scalini per arrivare alle porte a vetri sono inevitabili, che cercare un’alternativa sarebbe ancora più complicato, e finalmente siamo dentro. Per l’occasione ci facciamo subito un selfie davanti alla scritta Salone 2018.

Tu stai fermo qua che vado a cercare la piantina. Torno con la piantina, il programma e pure il codice del WiFi. Ci vorrebbe una sedia o qualcosa a cui appoggiarsi ma in questi posti non c’è mai ed è una di quelle occasioni in cui ci si sente tutti un po’ disabili. Ci sediamo all’ultima fila di una conferenza in atto, giusto per sistemarci velocemente, alle 12 inizia la presentazione di Limonov, c’è tempo per girare un po’ e io tiro fuori il mio piano di battaglia. La lista degli editori.

Quando mi ricapita un’occasione così? Vediamo se ce la faccio a farmeli tutti…

Azz…

Ma dai, che pensi subito a quello!

Be’, da come l’hai detto…

In effetti… e mi sento un po’ scema. Per risollevarmi, gli mostro il mio file excel.

Guarda qua. Volevo dire, faccio un giro ci vado a parlare direttamente, una volta che sto qui cerco di ottimizzare…

Uh che precisione!

Già. E ora, che dici, ti posso lasciare solo un’oretta?

Che domanda… di solito vado in giro solo.

Scusa, certo, è che mi sono calata nel ruolo… Da Limonov ci sarà un sacco di gente, quindi tu magari intanto ti avvii.

Non ti preoccupare, io vado e ti aspetto là.

Alle 11.40 ti raggiungo.

Tranquilla, sei troppo organizzata.

Che palle me lo dici sempre.

Rilassati.

Sì così poi non riesco a combinare niente.

Una volta JJ mi aveva detto che lui dopo che ha organizzato le cose basilari, basta, i dettagli non li considera proprio, deve solo pensare che in qualche modo ce la dovrà fare, se no non va da nessuna parte. Adattarsi alle emergenze, questo ha imparato. Anche io mi adatto, ma lui è più bravo. E in più mi calma.

Ok, allora vado.

Volo da uno stand all’altro, insieme ai sogni che lì, nel paradiso dell’editoria, sembra si muovano a briglia sciolta.

Alle 11,40 lo ritrovo, seduto davanti alla fila per Limonov. La fila è ferma e lui pure.

Ma stai qui così?

E come?

Cioè, non vedi se puoi andare avanti?

Ma no, quando iniziano a entrare mi muovo.

La vedo male. La fila inizia a muoversi a scatti. Quando si muove, corre. Almeno per gli standard di JJ. Così non arriveremo mai. Un po’ di sana ansia mi sa che ora ci vuole.

Vado a vedere.

No dai, lascia stare…

Non ti fidi?

Vado. La signora davanti alla porta chiusa della sala mi sembra disponibile.

Mi scusi, il mio amico cammina molto lentamente, così ci passano tutti avanti, non c’è un altro modo per entrare?

Veramente… No, però, ecco, lei, signore, venga con me.

JJ inizia  a seguirla, io per un attimo non so che fare, guardo avanti e la fila sempre più lunga.

Pure lei, che fa vuole rimanere qui? 

Certo che no, e pian piano mi incammino.

Finalmente seduti. In perfetto orario.

Allora? Sei orgoglioso di me?

Però!

Scusa, te ne stavi fermo e buono… dovevo fare qualcosa, no?

Senti, domani che ne pensi se andiamo al museo egizio?

Sì ma…

Sì ma in carrozza. Mi sono informata, ce la danno loro, se non ti scoccia…

JJ in carrozzella mi sembrava un controsenso, però tutto il museo a piedi dovevo ammettere che era una follia e così il giorno prima ero passata al museo a sentire.

E perché mi dovrebbe scocciare?

Già. Perché?

Però mi tocca l’ascensore e io ho la fobia degli ascensori, trattengo il respiro e in un attimo siamo arrivati.

Va bene il Salone, ma non si poteva venire a Torino senza vedere questa meraviglia. Che ti riconcilia con le follie di un’Italia che sembra scivolare sempre più a fondo e poi per miracolo si risolleva come di fronte al sorriso della ragazza che ci porta la carrozzella. Che non basta averne diritto, conta che sia normale.

Dai che ti porto!

Tu sei matta, ma pure coi tuoi figli in passeggino ti muovevi così?

Così come?

Tipo a scatti, e poi freni all’improvviso.

Be’, è più divertente, a loro piaceva un sacco, ma che, hai paura?

No figurati, però evita il sarcofago da 5 metri, almeno!

Dribblato il sarcofago, entriamo nella sala delle mummie.

Signora, lo zainetto.

Ero in trance davanti a una tela di lino dai colori brillanti come se fosse stata dipinta ieri, e non mi ero accorta della custode che mi si era avvicinata.

Lo zainetto, non può tenerlo.

Praticamente una sacchetta pieghevole che tengo in borsa per le emergenze.

Ma c’è dentro solo la giacca, mi servono le mani libere.

Guardi, lo poggi lì, ok?

Qui?

Inutile chiedere cosa cambia…se qui va bene lo metto qui. Cioè sul manico della carrozzella.

Così salto per aria io, grazie!

Sì ti spingo forte avanti e poi ti lancio urlando Allah akbar!

Allora saresti tu la pericolosa terrorista che elude la sorveglianza…

E già, anche alla escort bombarola non ci crede nessuno. Però tra i sarcofaghi cerco di andare più piano e di non frenare all’improvviso.

Prima di uscire, una tappa obbligata ai bagni. E stavolta sono io che mi faccio aspettare. Non c’è niente da fare, certe differenze sono insormontabili. Con o senza stampelle la fila delle donne è sempre più lunga!


Viewing all articles
Browse latest Browse all 13

Latest Images

Trending Articles